sabato 29 giugno 2013

BIOGRAFIA DI UN FILOSOFO GOLOSO

La candida peferzione dell'iperuranio del pensiero filosofico può davvero mescolarsi all'attività materiale per eccelenza, ossia quella del del comune cibarsi, attività certamente umana ma così comune e così tanto sensoriale da apparire, agli occhi benpensanti e intellettualmente esperti, quasi come una terribile profanatrice delle razionali virtù? Il cibo può essere raccontato filosoficamente? Da queste domande nasce la sfida di ThinkerFood e dalla mia storia personale di Filosofo pratico. Ho avuto occasione di approfondire i diversi approcci metodologici di carattere psicologico in questi anni e ho portato a termine il mio percorso fino all'esame come psicologo per le organizzazioni e le comunità. Poi ho scelto che la mia "pratica" sarebbe stata assolutamente filosofica, pur custodendo le pratiche psicologiche come bagaglio formativo e conoscitivo . Perché? La pratica filosofica non fornisce al professionista teorie prestabilite, strumenti di scientifica certezza in cui le parole possano trovare un senso e i comportamenti ottenere successo. Il filosofo pratico non é una guida, non é un terapeuta, non é un programmatore del pensiero. Il filosofo pratico si occupa del valore del pensare e della sua potenzialità creativa, non si occupa dei processi mentali e delle loro leggi.Le pratiche filosofiche si occupano
 dell' ethos, delle conseguenze pratiche dell'attività del pensare, che non é mai giudicata giusta o sbagliata.Essa é solo fermata e sospesa al fine di essere veramente ascoltata e compresa. Il filosofo pratico potrebbe essere definito come un esperto dell' acustica del pensiero e delle note che lo compongono, le parole. É colui che crea la condizione dell' ascolto ragionato e opera sui ritmi delle parole e dei silenzi, nella convinzione che essi siano metafore non sempre consapevoli di un abitare il mondo. Egli genera insieme al consultante l'esperienza del colloquio, in cui il suo ruolo é quello non del solutore dei nodi interiori o relazionali. Egli non ha soluzioni, non ha chiavi per il successo. Nelle pratiche filosofiche non c'é un traguardo atteso, non si é orientati al risultato. La filosofia praticata é un'esperienza etica di consapevolezza in cui il fine é il vedere con chiarezza quanto il pensare sia sempre un gesto di vita. ThinkerFood è un progetto che nasce dalla passione per il pensiero e dalla ferma convinzione che la cura del proprio esserci parta dalla conoscenza tanto del corpo quanto della mente. Ascoltare il pensiero e fermalo è un gesto di cura anche quando si parla del cibo e del suo essere molto più che semplice materia. Esso è racconto di culture e di tradizioni. Opera di ingegno e di pensiero. Il cibo nasce tra le parole e le dita creative dell'uomo che cura il suo abitare il mondo.

domenica 23 giugno 2013

IL MORSO DI EVA

“Tre cose io trovo mirabili anzi quattro, che mai conoscerò:
la via dell'aquila addentro il cielo, la via del serpente sopra la rupe, la via della nave
nel cuore del mare, la via di un uomo in un corpo di donna”
(Proverbi 30, 18-19).
La Storia dell'uomo, la sua memoria e il suo tempo iniziano dopo la Creazione. Il soffio divino è anima, la terra è materia, il cielo è mondo. Ma qualcosa manca. L'uomo è un Io perfetto ma defettibile: è un eterno senza ritmo, è un cuore che non pulsa, un'epidermide che non vibra. E' bocca senza Verbo. Nella sua perfezione nulla sorprende, nulla emoziona, nulla tocca e sanguina. Nulla è mirabile perché tutto è evidente. Ma come in ogni opera d'arte che si rispetti, c'è nell'Incipit dell'ontologia dell'Uomo un secondo atto, un colpo di scena, l'Altra possibilità celata e rivoluzionaria. Il suo nome è Eva. Sinuosa forma, vibrante materia ricavata non dalla terra ma dalla carne stessa del suo Uomo, Eva è creata per trasformare l'Uno in Due. Eva è la sanzione dell'incompletezza mutata in evento miracoloso. Eva genera il segreto dell'Essere nel mistero della relazione e della inter-azione. L'incontro tra Adamo ed Eva è l'epifania della Creazione, la rivelazione di due volti, due identità che nel riconoscersi ed amarsi sanciscono l'uno il diritto dell'altro all'esistenza. “I volti di un uomo e di una donna non sono essenze statiche, ma mobili. Appaiono in temporanea sospensione nell'istante dell'incontro. In quello d'amore, in particolare. L'incontro d'amore ha un tono che definirei apocalittico; rivela lo straordinario avvento della faccia d'uomo o di donna, coi loro trucchi e verità, svelati nel rendez-vous dell'esistenza” (Nadia Fusini, I volti dell'amore, Mondadori Milano 2003) . L'uomo è Imago divina che, dunque, raggiunge l'apice della sua perfezione solo nell'istante in cui lo sguardo innocente dei due volti di Adamo ed Eva s'incontrano. Uno sguardo sancisce il diritto e il peccato dell'esistenza. Ma c'è una fondamentale differenza tra i due sguardi, una differenza intesa nei termini di una radicale ed ontologica diversità tra i due esseri femminile e maschile. L'uno scopre, l'altro ascolta, l'uno risveglia, l'altro attende. Eva da anello mancante diviene il motore mobile di una ri-voluzione nel perfetto e statico cosmo dell'Eden. “E Dio avrebbe preso l'uomo e deposto nel giardino dell'Eden, per lavorarlo e custodirlo. Poi il Signore Iddio comandò su Adamo dicendo: Di ogni albero del giardino mangiare potrai. Dell'albero della conoscenza del Bene e del Male non mangerai, giacchè nel giorno in cui ne mangerai di morte morirai”. ( Genesi 2, 15-17) “Non morireste affatto! Infatti il Signore sa che, nel giorno del vostro mangiare da esso, i vostri occhi si spalancherebbero e sareste come il Signore, conoscitori del Bene e del Male! Allora vide la donna che l'albero era buono, ne mangiò e ne diede anche al suo uomo, che era con lei e questi ne mangiò” (Genesi 2,24; 31-13). Sono questi i passi cruciali della Genesi, i passi che segnano la Caduta dell'uomo nello stato di Essere radicalmente storico e temporale. Quattro le parole feconde di colpa: conoscenza-morte-occhi-mangiò. Scrutando attentamente queste parole ci si accorge facilmente di come esse siano divise in due coppie di genere diverso. La coppia Conoscenza-Morte rimanda a qualcosa di astratto, la coppia Occhi- Mangiò denota qualcosa di concreto e sensibile. Eva Vede, desidera conoscere, freme, vibra la sua anima al solo pensiero di gustare il sapore e il sapere. Eva poggia le sue labbra sulla polpa carnosa del frutto proibito e ne offre al suo uomo. Adamo afferra e morde e con Eva e come Eva si trasforma. La meraviglia, lo stupore, la sensazione vibrante del desiderio, il morso della fame di conoscenza sancisce la metamorfosi dell'Essere immortale in perituro Essere Vivente. La vita si paga con la morte. Umano troppo Umano il tocco di Eva, il suo ingegno tradisce il disegno divino. “Antico dono di donna, il cibo,. E' anzi il primo gesto che la donna compie. Prima di parlare, e prima di generare e prima di morire. Il suo primo gesto è una mano che coglie, una bocca che assaggia, un braccio che porge insieme a due occhi che dicono: Prendi”( Elena Loewental, Eva e le altre, p.91, Bompiani Milano 2007). Eva è la rivoluzione del tempo. Eva è la pietra angolare del nuovo incipit del miracolo della vita, capace di mutare la colpa in giorni, attimi ed istanti, costruiti ad uno ad uno con spasimi, dolore, gioia, stupore. Eva è la chiave di volta della Creazione. E' Lei, non Adamo, a caricarsi la colpa, a squarciare il velo cristallino del perfetto Eden. Eva ascolta, Eva sceglie, prima paladina di una volontà libera e candida. La sua carne, prima immortale, porterà per sempre il dono del peccato, il frutto dell'ardore e della passione. Il suo grembo si squarcia, come quel velo, per mostrare il cibo proibito: la Vita. Paradosso divino, Eva è condannata a custodire in sé il segreto della mortalità e a generare attraverso di esso il mistero ed il miracolo dell'eternità del reale. Dal morso mortale Lei, solo Lei, Via Mirabile, genererà il soffio della vita. Labbra del peccato, le sue, saranno il nuovo Verbo di carne e sangue, labbra mortali, periture e madri dei nostri battiti, dei nostri occhi, delle nostre lacrime, dei nostri sorrisi. Eva madre del Presente.

mercoledì 19 giugno 2013

Il Caffè? Prendilo con filosofia

Amaro o dolce? Ristretto o generoso? Nero o macchiato? Quanti interrogativi intorno ad una sola tazzina di caffè! Molto più di una semplice bevanda, il caffè è un vero e proprio rito. In compagnia o in solitudine, esso racchiude in pochi sorsi il desiderio di fermare il tempo affannoso della quotidianità e prendersi cura di se stessi. Ecco perchè è inevitabile che la richiesta di una onirica tazzina di caffè sia seguita immediatamente da una serie di specifiche precisazioni, assolutamente personali e imperative, pena la profanazione di un rito così profondamente sociale e terapeutico. A ciascuno il suo caffè, dunque, perchè il berlo è uno dei gesti apparentemente più semplici del quotidiano, ma racchiude in realtà un nucleo denso del nostro sentire, del nostro essere hic et nunc, in un tempo e in uno spazio determinato. Quotidiano: cosa significa veramente questa parola? Usata ed abusata, come spesso accade alle nostre parole, essa ha perso il suo senso originario. Ci siamo talmente assuefatti ad usarla che nei nostri discorsi quotidiano indica tutto ciò che si ripete meccanicamente, quasi noiosamente. Dal quotidiano si evade, si fugge, quasi esso fosse davvero un circuito inevitabile intorno cui si avvolge il nostro tempo. Per tale ragione il tempo libero si trasforma in una sorta di corto circuito capace di rompere con la piatta ripetitività della routine . Immaginiamo per un istante di prendere la nostra tazzina tra le dita e di poter fermare questo nostro sorso quotidiano, tendendolo quasi all'infinito. Proviamo a trasformare questo rito in un gesto filosofico: fermiamoci a pensare. Cosa sentiamo veramente in questi brevi istanti sorseggianti? Il calore della tazzina sulla pelle, l'aroma intenso che penetra il nostro olfatto, il colore scuro del liquido che portiamo alla bocca. Solo questo? Cosa c'è davvero dentro ogni sorso? Pensiamoci bene. Nell'atto di avvicinare alle labbra il bollente aroma, il nostro sguardo sembra quasi sempre perdersi nel nulla, così come le nostre parole. Si ferma tutto. Cosa teniamo veramente stretto tra le dita? Tutto il nostro Io: questa è la risposta. Già, tutto il nostro Io racchiuso in un sorso. Che sia silenzioso e solitario, oppure salottiero e chiacchierato, un unico sorso distende, anche se per per pochi istanti, il tempo ed ecco sentiamo la nostra presenza. Percepiamo il nostro peso o la nostra leggerezza, la sostanza del nostro sorriso come del nostro dolore, la forza del ricordo e la fragilità del presente. Un sorso è un concetrato di identità ed è tutto racchiuso in un gesto quotidiano, di routine, abitudinario, come siamo soliti definirlo. Strano quanto un'azione divenuta quasi automatica, meccanica, ripetuta costantemente giorno dopo giorno, possa davvero custodire un nucleo così intenso della nostra presenza. Quotidiano: una parola gettata in pasto all'abitudine, fino a diventare essa stessa priva di senso, assuefatta al nostro essere famelici divoratori del tempo presente. Le parole sono come le note di uno strumento, se non c'è un'acustica adatta smettono di risuonare. Per ascoltarne il senso è necessario semplicemente fermarle. Quotidiano è una parola che definisce, attribuisce un significato ai gesti in riferimento ad un tempo determinato. Potremmo dire che quotidiano è in realtà ciò che accade ogni giorno, un gesto, una parola, un progetto, un'emozione. Il fare quotidiano autentico possiede in realtà un elemento di sacralità. Esso indica ciò che appartiene al tempo che ognuno di noi ha la possibilità di vivere. Quotidiano è dunque ciò che noi decidiamo che ciascun giorno sia, ciascuno degli attimi che respiriamo con la nostra presenza. Il tornare e il ripetersi del quotidiano è il ripresentarsi della possibilità di vivere ciò che abbiamo scelto. Perchè, pensiamoci bene, siamo noi stessi a plasmare la materia del tempo e a poter scegliere la sua forma.Con esso possiamo forgiare una gabbia dura e pesante, oppure una finestra luminosa, aperta su ogni possibile divenire. E voi come prendete il vostro caffè? Amaro o dolce? Ristretto o generoso? Volete anche un cucchiaino di pensante consapevolezza....lo gustate filosofico?